domenica 31 marzo 2024

UTOPIA21 - MARZO 2024: ALBERTO BURGIO E IL PROGRESSISMO (900 ESCLUSO)

 

ALBERTO  BURGIO E IL PROGRESSISMO (NOVECENTO ESCLUSO)

di Aldo Vecchi

 

Il saggio di Burgio inquadra la crisi del progressismo nella stessa attuazione ottocentesca delle promesse illuministe, vedendo nella storia tragica del Novecento la conferma dei suoi fallimenti: ma a mio avviso trascura importanti pezzi di quella storia, che in parte perdurano

 

Sommario:

-       PROGRESSISMO E ILLUMINISMO: PREMESSE E SVILUPPI

-       POSITIVISMO (IMPERIALISTA) E CRITICI OTTOCENTESCHI

-       CRISI DEL PROGRESsISMO E NOVECENTO

-       QUALCHE ALTRO ASPETTO DEL NOVECENTO E DELL’OGGI

(in corsivo le parti più soggettive della recensione; sottolineate parole in citazione, che erano in corsivo nel saggio recensito)

 

 

 

Il breve saggio di Alberto Burgio[1] “Tra utopia e rimozione. Considerazioni sulla storia del progresso”, incluso nel 2013 nella raccolta “Utopia – storia e teoria di un esperienza filosofica e politica” a cura di Carlo Altini 1 (di cui già ho recensito l’introduzione 2), evidenzia alcuni snodi storici di forte rilevanza attuale.

 

 

PROGRESSISMO E ILLUMINISMO: PREMESSE E SVILUPPI

 

Con rapidi cenni alla concezione ciclica del tempo ed alla glorificazione di un mitico passato come elementi caratterizzanti del pensiero classico (dall’antichità greco-romana al rinascimento) ed ai loro riflessi sulla visione trascendente del pensiero cristiano, e contrapponendosi agli storici che invece hanno cercato di esaltare isolati frammenti di “progressismo” lungo tale percorso, l’Autore individua nell’illuminismo settecentesco la svolta verso una compiuta teoria del parallelo progresso tecnico-scientifico e morale-politico come filo conduttore della storia dell’umanità (euro-occidentale, come vedremo più avanti), seppur anticipata dalla curiosità tardo-medioevale e dalla rivoluzione scientifica del Seicento.

 

Se già a fine ‘600, con Perrault e Fontenelle “si sviluppa “la tesi dell’accumulo potenzialmente illimitato di conoscenze, come pure l’idea che il tempo provveda al perfezionamento delle scienze e delle arti … i Lumi aggiungeranno … un salto di qualità del discorso, nella misura in cui un processo quantitativo di accrescimento per accumulazione è d’ora innanzi concepito come trasformazione del soggetto stesso della conoscenza e della prassi… Le teorie illuministe e poi positiviste del progresso si sviluppano attorno all’idea – ben presto divenuta certezza, un articolo di fede – che ai successi della ragione alle prese con i segreti del mondo fisico si accompagnino di necessità conquiste altrettanto certe e rilevanti sul terreno della moralità individuale e collettiva. Di modo che la società o la civiltà che si autorappresenta come la più ‘avanzata’ lungo la linea evolutiva non si ritiene più soltanto la più ricca di cultura o la più potente, ma anche come la più giusta”.

 

Anche nell’ambito della svolta illuminista, tuttavia, Burgio distingue tra i sostenitori più integrali di tali posizioni, come Turgot e Condorcet, e le argomentazioni più dialettiche di pensatori quali Kant o Rousseau (o dello stesso Voltaire); così pure, esaminando gli sviluppi ottocenteschi, tende a scrostare da Hegel e ancor più da Marx le letture di stampo deterministico, assai diffuse tra i detrattori di Marx, ma anche – ammette Burgio – tra i suoi più pedissequi estimatori.

 

 

POSITIVISMO (IMPERIALISTA) E CRITICI OTTOCENTESCHI

 

Però quello che più emerge nel saggio di Burgio, riguardo all’Ottocento, è la divaricazione tra un ottimismo positivista (sempre più permeato dalla consapevolezza imperialista e colonialista dell’egemonia euro-occidentale) ed una gamma di posizioni critiche – pur in parte rivolte al passato perduto – che troveranno negli sviluppi storici (conflitti sociali, guerre, crisi economiche) la conferma delle loro perplessità, fino ad un Novecento che – secondo Burgio – seppellisce e rinnega l’idea di progresso.

Il catalogo dei pensatori ottocenteschi progressisti che – muovendo dalla lettura della storia umana per stadi evolutivi – approdano a concezioni esplicitamente razziste, tecnocratiche ed eugenetiche è piuttosto impressionante: si va da Saint-Simon che afferma: “data la sua struttura, il negro, a parità di educazione, non è suscettibile di essere elevato al medesimo grado di intelligenza di un europeo”, mentre il governo viene affidato agli industriali “fiore della società”,  a Comte che, nel compimento dell’evoluzione verso la fase suprema della società industriale ne preconizza la guida da parte di una “nuova autorità morale …autentico potere spirituale” (i tecnocrati), da Spencer secondo cui “l’inevitabile sovrabbondanza numerica degli uomini” impone “l’eliminazione” dei più deboli, fino allo stesso Darwin che prevede, tra qualche secolo “le razze umane civilizzate avranno quasi certamente sterminato e sostituito In tutto il mondo le razze selvagge” e così l’avvenire sarà appannaggio di una umanità giunta “ad uno stadio più civilizzato, speriamo, di quello caucasico”.

Sul fronte critico, tralasciando le posizioni squisitamente reazionarie, emergono Sismondi:    “l’uomo ha perso in intelligenza, in vigore fisico, in salute, in allegria, quello che ha guadagnato in capacità di produrre ricchezza”, Quinet: “quel che costituirà la forza di questo tempo comincia col farne la  miseria”, Michelet: “operai-macchina” in “un inferno della noia”, verso una “umanità senza l’uomo”, Counot, che nelle parole di Burgio, “vede incombere un futuro meccanizzato, plumbeo, che restituisce il frutto avvelenato di una sconsiderata ansa di dominio”, Baudelaire con il mito del progresso come “fanale oscuro e perfido”:

Assente, a mio avviso ingiustificato, Leopardi Giacomo.

 

 

CRISI DEL PROGRESSISMO E NOVECENTO

 

A questo punto l’Autore propone la seguente sintesi: “Quando si verifica, e perché, la crisi del progressismo? … Sorto nel XVIII secolo dalla fiducia nelle prospettive di emancipazione del genere umano … il progressismo si afferma nel XIX secolo come progetto di dominio imperiale della parte più ‘progredita’ perché più potente, riformulando in chiave particolaristica (quindi, in sostanza, rinnegando) le proprie aspirazioni universaliste … Nel Novecento (in realtà già dal secondo Ottocento) il progressismo entra in crisi nella misura in cui si realizza. In questo senso la sua crisi è un contrappasso, in quanto consegue al divenire sempre più evidente della distruttività dei processi reali e della cifra ideologica delle sue mitologie”.

 

Se le conferme della storia che Burgio individua già nell’Ottocento sono a mio avviso controvertibili, perché ad esempio agli occhi borghesi e ‘benpensanti’ la repressione dei moti del 48 e lo sterminio degli insorti della Comune possono anche non distogliere dal fluire di progresso e progressismo, gli eventi novecenteschi connessi alle due guerre mondiali e al nazi-fascismo costituiscono indubbiamente una rottura del paradigma ottimistico-positivista.

 

Di questa rottura di paradigma Burgio mostra l’eco nei pensieri riflessivi e disincantati di Paul Valery, di Max Weber, di Thomas Mann, di Spengler (“Il tramonto dell’Occidente”) di Ortega Y Gasset, di Benjamin, di Husserl, per poi concentrarsi sui pensatori del secondo Novecento, dalla Scuola di Francoforte ad Habermas, da Bayman a Jonas: di Jonas Burgio condivide, concludendo il suo testo, l’appello alla ‘responsabilità’, come alternativa al ‘progresso’ in questi termini: “.. la razionalità moderna si è sviluppata fino a raggiungere una straordinaria potenza strumentale …deresponsabilizzandosi sul piano morale. … prendere sul serio la storia della modernità con il suo carico di violenza implica da una parte riconoscere che la parola nel segno della quale condurre innanzi la nostra impresa collettiva deve essere ‘responsabilità’ e non più progresso; e dall’altra, assumere su di sé il compito di mettere in discussione anche praticamente questo quadro concreto di logiche di dominio e di rapporti di potere ... e non declinare il tema della responsabilità in termini inerti e rassegnati.”

 

QUALCHE ALTRO ASPETTO DEL NOVECENTO E DELL’OGGI

 

Mentre l’appello finale mi pare condivisibile (anche se dire “responsabilità” sembra un po’ vago, definito solo come contrario a “progresso”) ho l’impressione che il racconto di Burgio sul Novecento abbia trascurato alcuni aspetti importanti, sia nella storia del pensiero sia soprattutto nella storia della società (e intellettuali connessi):

-       tra i soggetti delle tragedie novecentesche c’è anche il ‘socialismo reale’ che – almeno a livello di propaganda – ha sempre associato la modernizzazione tecnica con il ‘sole dell’avvenire’; solo negli ultimi suoi decenni si è fatto palese l’esaurirsi di tali “spinte progressive’ (ed anche nelle propagande naziste e fasciste si vagheggiava di uomini nuovi e di sviluppi tecnologici, e non solo del ritorno ad ordini patriarcali);

-       tra gli antagonisti  del comunismo e del nazi-fascismo, le teorie e le esperienze sostanzialmente socialdemocratiche del new deal roosveltiano e del dopoguerra europeo – malgrado l’incombente pericolo delle guerre nucleari (e dopo i criminali assaggi di Hiroshima e Nagasachi) - hanno fatto rivivere nelle masse occidentali una ideologia pratica saldamente progressista (e consumista), almeno fino alle crisi degli anni ’70 (progressismo dentro cui il discorso universalista sui “diritti dell’uomo” ha ribaltato i pregiudizi razzisti, approdando semmai ad una nuova forma di colonialismo culturale ‘ugualitario’);

-       di scientismo progressista risulta intrisa anche l’ideologia neo-liberista post-89 che – pur in crescente affanno in quanto smentita da crisi e conflitti – costituisce tuttora il pensiero dominante delle classi dirigenti occidentali, da Fukuyama a Elon Musk (per semplificare), senza essere finora sostituita da linee dominanti alternative a tale tecno-capitalismo, anche se il sentire comune del XXI secolo, sempre qua in Occidente, sembra essere intessuto soprattutto dal disincanto (vedi Censis, vedi crisi demografica).

Inoltre persino nel novero delle correnti ecologiste, che nell’insieme costituiscono un sostanzioso antagonista del progressismo tecno-capitalista (sia in quanto si contrappongono alla preminenza dell’uomo sulla restante natura, sia perché ridimensionano la visione eurocentrica rivalutando altre antropologie), non è esclusa la presenza di teorici che fondano anche su nuovi strumenti scientifici e tecnici il percorso verso orizzonti di una migliore umanità, riconciliata con la Terra e gli altri suoi abitanti.   

 

D’altro canto qualche considerazione retrospettivamente favorevole al progresso, ma senza ingenue proiezioni al futuro (anzi con utili riflessioni dialettiche in proposito), compare tra diversi pensatori contemporanei che su Utopia21 abbiamo recensito, quali ad esempio Angus Deaton 3, Rutger Bregman 3, Emanuele Felice 4, Joel Mokyr 4, Maurizio Ferraris 5, Aldo Schiavone 6.

 

Pertanto, nel condividere l’appello di Alberto Burgio alla responsabilità collettiva di tutti gli uomini a fronte del tecno-capitalismo (come sinteticamente mi permetterei di definire “questo quadro concreto di logiche di dominio e di rapporti di potere”) e delle insidie del progressismo, mi pare che possa essere di aiuto una conoscenza più approfondita dell’uno e dell’altro e cioè soprattutto di come tali ideologie, dal Novecento, permeano tuttora la coscienza di vaste masse (ed ancor peggio nella versione populista-sovranista e in parte  “regressiva” della stessa modernità).

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1. Carlo Altini – INTRODUZIONE. APPUNTI DI STORIA E TEORIA DELL’UTOPIA in

A.A.V.V., a cura di Carlo Altini: “UTOPIA – STORIA DI UN’ESPERIENZA

FILOSOFICA E POLITICA” – Il Mulino, Bologna 2013

2. Quaderno 38 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA SETTEMBRE  2022 A SETTEMBRE 2023

https://drive.google.com/file/d/1Q1DfHP4wyIXfk4vFHRDxGeBfUusxe45n/viw?usp=drive_link

3. Quaderno 2 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA OTTOBRE 2016 A LUGLIO 2018 - https://drive.google.com/file/d/1XNrzF-eULeezx4wuuOl0DQ_x_ejPVkC/view?usp=sharing

4. Quaderno 12 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA SETTEMBRE 2018 A LUGLIO 2019 – https://drive.google.com/file/d/1ilodGZwmWQoon1v1jG0nXBO632TK-2lC/view?usp=sharing

5. Quaderno 24 – DAL FESTIVAL DELL’UTOPIA DI VARESE 2019 - https://drive.google.com/file/d/1mFfzahdqKWS7um2kIo1KunmTYIIqWyWn/view?usp=sharing

6. Quaderno 25 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA SETTEMBRE 2019 A SETTEMBRE 2020 - https://drive.google.com/file/d/1MY8u1JhNGOWIdzIIr8ENcmRSCORsAvvk/view?usp=sharing

 

 



[1] Da Wikipediia: Alberto Burgio (Palermo, 13 maggio 1955) è un filosofo e politico italiano. Dal 1993 insegna Storia della filosofia presso l'Università di Bologna. È stato eletto deputato al Parlamento della Repubblica alle elezioni politiche del 2006 - Si è occupato prevalentemente di storia della filosofia politica e di filosofia della storia con studi su Rousseau e il contrattualismo moderno, Kant e l'idealismo tedesco, la teoria della storia tra Adam Smith e Marx, il marxismo italiano (con particolare riferimento ad Antonio Labriola e a Gramsci), il razzismo e il nazismo. Nel corso di un quarantennio, la sua ricerca si è sviluppata in molteplici direzioni, ma sulla base di un presupposto unitario: l’idea di poter leggere il dibattito filosofico moderno e contemporaneo, tra Sei e primo Novecento, come una discussione consapevole sulla modernità e le sue logiche evolutive: sulla genesi, le caratteristiche, le potenzialità e le patologie del mondo moderno. Di qui gli studi sulle teorie del contratto sociale, lette come analisi della dialettica dell’individualismo; le ricerche sulla storia e la logica delle ideologie razziste, studiate come manifestazioni della fragilità del progetto universalistico; lo studio delle interazioni tra riflessione filosofica e indagine economico-politica; la rilettura della filosofia della storia sette e ottocentesca sullo sfondo della crisi dell’impianto provvidenzialistico; l’analisi storico-critica del macrotesto marxista e dei suoi antecedenti nel contesto della «filosofia classica tedesca».

UTOPIA21 - MARZO 2024: BERSAGLI E FORME DLOTTA

 

BERSAGLI E FORME DI LOTTA

di Aldo Vecchi

 

 

Un contributo al dibattito sugli obiettivi e sugli strumenti lungo la complessa strada della “giusta transizione” energetica ed ecologica

 

 

Sommario:

-       DAMNATIO MEMORIAE

-       TRA PROSCRIZIONE E LINCIAGGIO MORALE

-       PERSONALIZZAZIONE POLITICA…

-       … E SPERSONALIZZAZIONE SOCIALE

-       DEMISTIFICAZIONE, CONTROINFORMAZIONE E DISOBBEDIENZA CIVILE

 

 

 

DAMNATIO MEMORIAE

 

La proposta del Direttore di Utopia21, Fulvio Fagiani, nell’editoriale dello scorso gennaio, sulla “Damnatio Memoriae” 1, che dovrebbe essere attuata a carico dei responsabili (politici, aziendali, mediatici) della mancata transizione ecologica, mi ha lasciato molto perplesso.

 

Filologicamente rilevo che la “Damnatio Memoriae” consiste in una cancellazione postuma, a danno di persone che avevano assunto notorietà, da parte di un potere costituito e dotato di una salda egemonia culturale e/o di un forte controllo poliziesco e sociale.

Anche la cosiddetta “cancel culture”, promossa da movimenti che giustamente rivendicano il ribaltamento di storiche discriminazioni (razziali, coloniali, di genere) esprime l’ambizione di raggiungere quel tipo di potere (esercitandolo già in parte “dall’opposizione” e nelle nicchie di potere conquistate, ad esempio in ambito accademico), caratterizzandolo come potenzialmente totalitario, e non inclusivo (ad esempio: cancellare la memoria di Cristoforo Colombo anziché reinterpretarne la storia, evidenziandone la figura predatoria, ecc).

Ammesso e non concesso che i soggetti favorevoli alla transizione ecologica possano acquisire un domani un potere di siffatta natura, il minacciare oggi la futura cancellazione, oltre che altrettanto totalitario, mi sembra oggi (non essendo ‘al potere’) una declamazione piuttosto inefficace.

 

 

TRA PROSCRIZIONE E LINCIAGGIO MORALE

 

I tentativi di cancellare avversari contemporanei dovrebbe invece assumere altri nomi; ad esempio:

-       proscrizione, ostracismo od eliminazione fisica, se esercitati da parte di poteri costituiti privi di scrupoli garantisti

-       denuncia civile (ma anche forse linciaggio morale), se esercitati da parte di movimenti socio-politici che non rivestono (ancora) potere politico-giudiziario.

Nei regimi liberal-democratici la dialettica politica e la libertà di critica da parte di media, movimenti e cittadini, anche nei confronti di singoli esponenti dei vari poteri, si intrecciano variamente con l’esercizio del potere giudiziario, più o meno indipendente dai potentati politici ed economici e dagli influssi della pubblica opinione, e che però è il solo ambito in cui le responsabilità individuali possono essere accertate (con il massimo di verità concretamente possibile), con un aperto confronto tra accusa e difesa.

 

Nella proposta di Fagiani, si tratterebbe soprattutto di anticipare la denuncia verso i responsabili di crimini ecologici, crimini che però il quadro legislativo e penale vigente ancora non considera come tali.

Al momento la strada per mutare il quadro legislativo e penale è ancora tutta in salita (potrà mutare per effetto delle pressioni dei movimenti – ne parlo più avanti - , nel contesto di trasformazioni sociali complesse e rapporti di forza non definibili a priori); se si denunciano fin d’ora i responsabili ci si dovrebbe porre comunque il problema di quanto saranno effettivamente perseguibili ex post: perché in un quadro di continuità istituzionale vige il criterio della non retroattività delle norme penali, mentre in una ipotesi di ‘rottura  rivoluzionaria’ (o comunque di discontinuità istituzionale) la punibilità degli esponenti del precedente regime costituisce una questione morale e politica non dappoco, che – ad esempio – l’Italia post-fascista affrontò con l’amnistia di Togliatti ed invece il Sud Africa di Mandela con l’originale esperienza della “Commissione per la Verità e la Riconciliazione”.

 

 

PERSONALIZZAZIONE POLITICA…

 

Tutto quanto sopra implica una netta personalizzazione dello scontro politico, che a mio avviso mal si concilia con il carattere inclusivo che la cultura ecologista dovrebbe esprimere per la sua stessa attenzione costitutiva alle relazioni tra le parti ed il tutto: il contrario quindi rispetto al confondere la parte con il tutto e le persone con il loro ruolo temporaneo.

Viceversa la personalizzazione ha connotato storicamente, ed a maggior ragione connota attualmente, sia le ideologie di destra[A] (dai ‘partiti personali’ e aziendali al presidenzialismo nelle sue varie forme), sia il chiacchiericcio imperante sui vecchi e nuovi media in tutti i campi, dallo sport e spettacolo alla politica, assimilando purtroppo alla fin fine la politica allo spettacolo[B].

Rammento anche, senza alcuna indulgenza[C], campagne di demonizzazione personale sviluppate da sinistra negli anni ’70 come quelle di Lotta Continua ed altri contro il Commissario Calabresi e contro Amintore Fanfani, oppure dall’Espresso (e anche dalla “sinistra parlamentare”) contro il Presidente della Repubblica Giovanni Leone.

E peggio (ma probabilmente non da sinistra) con il lancio di monetine a Craxi; ma solo quando già era in disgrazia, e non prima.

Diverso è il caso di Berlusconi, che della personalizzazione negativa, sviluppata da parte dell’opposizione e dei media, a mio avviso non poteva lamentarsi più di tanto, dato il culto della personalità da lui stesso e dai suoi sostenitori sviluppato in proprio favore (senza però escludere che si sia infine avvantaggiato anche della demonizzazione avversaria).

 

 

… E SPERSONALIZZAZIONE SOCIALE

 

A questa personalizzazione, talora estrema, già estremizzata dai regimi totalitari del ‘900 e ora rilanciata nelle contemporanee autocrazie di diversa gradazione (Cina, Russia, Turchia, Ungheria) ed in regimi ancora democratici come India, Brasile, Argentina e negli stessi Stati Uniti, corrisponde però, nell’ambito della organizzazione e riorganizzazione dei poteri economici transnazionali, una diffusa apparente spersonalizzazione delle catene di comando, come sanno i lavoratori delle “piattaforme”, come i riders, oppure ad esempio quegli operai che si trovano licenziati con un messaggio telematico e per effetto di decisioni prese da azionisti remoti nascosti in un fondo di investimento [D].

Ciò rende difficile individuare le responsabilità, non solo personali, ma degli stessi soggetti giuridici che assumono le effettive decisioni nel contrastato processo di transizione energetica, sia dirette – come le scelte aziendali in materia di produzione, marketing, pubblicità – sia indirette, nel condizionare i governi e le opinioni pubbliche tramite operazioni finanziarie, mediatiche e lobbistiche.

 

 

DEMISTIFICAZIONE, CONTROINFORMAZIONE E DISOBBEDIENZA CIVILE

 

Sarebbe molto utile, pertanto, da parte dei movimenti e delle forze politiche e sindacali orientati verso “una giusta transizione”, una persistente campagna di demistificazione e controinformazione per portare alla luce quanto vi è di oscuro e di adulterato (greenwashing) nei suddetti processi decisionali, non per demonizzare le singole persone che decidono, bensì per esplicitare le responsabilità degli organismi decidenti.

E per illuminare così i possibili scenari di possibili vertenze sociali e di possibili azioni dimostrative di protesta ed anche di disobbedienza civile.

Pratica di demistificazione rispetto alla quale la denuncia morale verso le singole persone mi sembra una discutibile scorciatoia.

 

Per tentare di spostare in avanti, in direzione della tutela ambientale, i confini della legalità (fino, ad esempio, a configurare come reati le inadempienze verso la mitigazione climatica, ecc.) ritengo infatti che lo scontro debba essere portato – con modalità da ricercare accuratamente – nel cuore delle questioni, ad esempio con sit-in (e anche piogge di e-mail) verso i luoghi e nei tempi delle decisioni aziendali [E] e/o istituzionali, con sciopero dei consumi di determinati prodotti, con esercizio massiccio e dimostrativo della mobilità lenta oppure della piantumazione e cura di spazi abbandonati, ecc.

Grosso modo il contrario di quanto teorizzato e praticato dai militanti di Ultima Generazione che scelgono bersagli totalmente non pertinenti, come le opere d’arte, per dare visibilità mediatica al loro dissenso di piccole avanguardie, senza curarsi affatto delle ‘retroguardie’ (oppure bloccando ‘le masse’ nel traffico mediante blocchi stradali che sembrano rivolti contro gli automobilisti e non contro i carburanti fossili).

Gandhi, per fare un esempio opposto, guidava lotte concrete, oltre che simboliche, contro gli interessi dei colonialisti inglesi riguardo al sale e alla tessitura; e non incitava ad imbrattare le statue della regina Vittoria.

 

La questione dei bersagli e delle forme di lotta mi sembra ancor più rilevante in questa fase in cui il “sonnambulismo sociale” di cui al rapporto Censis, come richiamato da Fulvio Fagiani nel suddetto articolo “Damnatio memoriae”, mi pare pervada ampiamente il fronte ambientalista (se sulla Cop 28 non era possibile manifestare a Dubai, lo si poteva ben fare in gran parte del mondo ‘libero’, ma francamente non lo si è visto) ed anche lo scontro sociale sembra alquanto latitante, malgrado la forte inflazione accumulata e le opzioni di politica economica del Governo Meloni, ben denunciate da CGIL e UIL e da parte delle opposizioni parlamentari, ma con limitato seguito negli scioperi e manifestazioni.

Mentre le piazze sono invase da ampie frange degli agricoltori di diversi paesi europei, con un segno complessivo delle proteste non propriamente favorevole all’ambientalismo e al Green Deal europeo.

Forse, nel riflusso, è opportuno riflettere sulle questioni fondamentali. 

(Sul tema delle forme di lotta e delle avanguardie richiamo anche l’articolo su Utopia 21 del settembre 2019 e altri precedenti). 

 

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.    Fulvio Fagiani - DAMNATIO MEMORIAE E SONNAMBULISMO - su Utopia21, gennaio 2024 segue- https://drive.google.com/file/d/1VhaHPXWNJg6own21o18t6VnALS8Do2rF/view?usp=drive_link

2.    Fulvio Fagiani e Aldo Vecchi - DIBATTITO SULLA TRANSIZIONE ALLA SOSTENIBILITÀ - su Utopa21, settembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/12FdhXnGpWjXtpE7bLSwnP9Q_VLZjbo3I/view?usp=sharing

3.    Aldo Vecchi - TRE RIFLESSIONI POLITICHE: ’68, POPULISMO, NONVIOLENZA - Quaderno 9 di Utopia21, settembre 2019 -

https://drive.google.com/file/d/1dg_AbDh33gSf4k4xme4bXpax6r7aoyOT/view?usp=sharing

 



[A] Mi sono imbattuto, mentre scrivevo questo testo, in una citazione da Pietro Nenni, riportata da Giuliano Amato (che pure non è precisamente un mio riferimento politico-morale): “Se avete una critica da muovere, criticate sempre le idee e non le persone, perché questo lo facevano i fascisti e noi siamo diversi”

[B] Ultimo sottoprodotto di tale tendenza è l’uso strumentale delle candidature plurime alle elezioni europee (senza poi andare al Parlamento Europeo), che si profila da parte di Giorgia Meloni, sull’esempio storico di Berlusconi, e che verrebbe forse imitato anche da Elly Schlein.

[C] Esprimo quindi anche una parziale autocritica, non per la mia adesione a Lotta Continua, che avvenne non a caso, come Collettivo Autonomo di architettura, solo dopo una specifica svolta politica del 1973, ma per una prassi di demonizzazione personale nella propaganda politica che si era diffusa nelle esperienze di contestazione, non tanto in facoltà di architettura ma soprattutto in provincia

[D] Didascalici in proposito i film francesi “Louise-Michel” di Benoît Delépine e Gustave Kervern, del 2008, e “In guerra”, del 2018, ed anche altri film di Stephane Brizé con Vincent Lindon.

[E] Interessante in tal senso, come metodo, mi erano sembrate alcuni anni addietro, le iniziative di Beppe Grillo, quando interveniva come “azionista” alle assemblee di grandi società come ENI, Telecom, Montepaschi; esperienza che è stata così di fatto bruciata, senza lasciare grandi tracce, penso per l’inconsistenza teorica di Beppe Grillo (un Re Mida che tutto ciò che tocca trasforma in caciara?) e dell’ambientalismo del MoVimento 5Stelle, i cui esiti più recenti sono stati la spinta alla scelta (rivelatasi a mio avviso assai deludente) di Roberto Cingolani come ministro della Transizione Ecologica nel governo Draghi e poi la caduta anticipata dello stesso governo Draghi (motivata dalla avversità al termovalorizzatore di Roma), che ci ha portato così a godere in anticipo della successione di Cingolani con Gilberto Pichetto Fratin: cambio che, pur senza voler demonizzare le persone, come ho appena finito di predicare, non sembra comunque un gran risultato.

domenica 28 gennaio 2024

UTOPIA21 - GENNAIO 2024: I LIVELLI ESSENZIALI DEI DIRITTI ABITATIVI

 


L’INU inserisce nella sua proposta di legge per il governo del territorio un decreto per definire nuovamente una quantità minima di spazi pubblici, in relazione alle imminenti autonomie regionali rafforzate e alla connessa definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali. Le mie perplessità, pensando alle priorità nel campo dei diritti abitativi, diritto alla casa e diritto alla città.

 

L’Istituto Nazionale di Urbanistica, nella stesura del testo della proposta di legge nazionale di principi per il Governo del Territorio (avviata con il Congresso di Bologna del novembre 2022, di cui ho parlato su Utopia21 del gennaio 2023 1), ha recentemente ritenuto opportuno2 introdurre un elemento di rigidità di carattere egualitario, relativo alla quantità minima di spazi pubblici per abitante, da definire con un successivo decreto, in qualche misura sulle tracce del Decreto Ministeriale n° 1444 del 1968 “sugli standard”, tuttora vigente anche se variamente tradotto dalle legislazioni delle singole Regioni.

Tale Decreto del 1968, in attuazione della cosiddetta “Legge Ponte” n° 765 del 1967, tra le altre disposizioni, fissava in 18 metri quadrati per abitante il fabbisogno minimo di spazi pubblici urbani (parcheggi e verde, scuole e altri servizi) nelle nuove zone residenziali “di espansione”, commisurandolo ai volumi edificabili (da 80 a 100 metri cubi per abitante): standard di 18 m2/abitante, che nelle zone già densamente costruite diveniva tendenziale e ridotto alla metà.  [1]

Questa novità nella proposta INU, che diverge dal contesto flessibilista e performativo, si configura soprattutto come un ‘paletto’ rispetto all’incombente disegno legislativo sulle autonomie regionali differenziate, caro alla componente leghista del governo Meloni (cui il partito della Presidente del Consiglio giustappone il progetto del ‘premierato’).

 

Sia la (flebile) proposta INU che la (robusta) iniziativa promossa dalla LegaNord [2] si muovono sul terreno del Titolo V della Costituzione, come modificata nel 2001 riguardo agli aspetti ”federali” della Repubblica, Titolo V ancora largamente non attuato e che prevede specificamente agli artt. 116 e 117, tra altre importanti disposizioni:

-       leggi nazionali di principi sulle materie “concorrenti” tra Stato e Regioni, materie tra le quali ricade il “governo del territorio”,

-       definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni” concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale: tale definizione è indispensabile per poter procedere al conferimento alle Regioni di ulteriori competenze sulle materie delegabili (tra cui ad esempio energia ed istruzione), al fine di garantire le risorse minime necessarie anche ai territori economicamente svantaggiati; problema che in altri termini (determinazione dei “fabbisogni standard”) ha anche finora impedito l’attuazione del “federalismo fiscale” anche sulle materie già di competenza regionale, come stabilito dalla specifica riforma del 2009, in applicazione dell’art. 119 della Costituzione (sempre nel Titolo V modificato nel 2001).

Mentre mancano totalmente le “leggi di principi”, sul fronte dei “livelli essenziali”, negli anni scorsi significative porzioni sono state tracciate – almeno sulla carta – per la sanità (con il nome di Livelli Essenziali di Assistenza) e per la disabilità; non c’è tuttora comunque un quadro generale.

Spinto dall’urgenza politica delle “autonomie differenziate” il Governo ha inserito nella legge di stabilità ­­­per il 2023 un percorso – che voleva essere accelerato – per la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS), avvalendosi di una Commissione Consultiva, presieduta da Sabino Cassese, e senza ripassare dal Parlamento (il che secondo molti commentatori è di dubbia costituzionalità): accelerazione che pare essersi impantanata dopo le dimissioni dalla Commissione dei membri più autorevoli non allineati politicamente al Governo (tra cui Giuliano Amato e Franco Bassanini), nel successivo generale disinteresse dei media.

In questi giorni la questione è tornata di attualità perché il disegno di legge sulle autonomie differenziate è arrivato all’aula del Senato, con l’ipotesi di una rapida approvazione anche alla Camera (prima delle elezioni europee di giugno), ma – pare – accantonando e differendo alla fase attuativa il nodo dei LEPS: una faccenda che, per garantire il minimo a tutti e lasciare più risorse ai più ricchi, comporta una maggior spesa, secondo i commentatori, dell’ordine di grandezza di 100 miliardi di € annui.

 

I ‘diritti abitativi’, ovvero il “diritto alla città”, e ad un territorio sano, e ancor prima il “diritto alla casa”, che non sono (ancora) esplicitati dalla Costituzione 3,4 (dove dal 2021 al Paesaggio si affianca l’Ambiente), anche se di fatto già tutelati da sentenze costituzionali, non figurano formalmente tra i “diritti civili e sociali” di cui all’art. 117 (2° comma, lettera m) della Costituzione.

Tuttavia mi pare opportuno da parte dell’INU, nel rivendicare una Legge di Principi per il Territorio, il tentativo di allargare anche in questa direzione il concetto dei “livelli essenziali”.

 

Dubito però che l’enunciazione di un rinnovato standard minimo nazionale di spazi pubblici per abitante aiuti ad una effettiva espansione ed universalizzazione dei diritti abitativi.

Si tratta infatti pur sempre e solo di inserire tali spazi nelle previsioni dei piani urbanistici comunali: previsioni che oltre 50 anni dopo la suddetta “Legge Ponte” probabilmente (nelle misure finora vigenti) sono state deliberate una o più volte in quasi tutti i Comuni, fatte salve sia la loro parziale non attuazione sia la decadenza dei vincoli ai fini espropriativi.

Il problema allora, ed invece, è quello – finalmente – di assicurare effettivamente a tutti i cittadini i “diritti abitativi”, al di là del disegno degli spazi pubblici nei piani urbanistici; nella consapevolezza che in buona parte dei Comuni i servizi minimi sono già conseguiti, almeno in termini quantitativi (con dotazioni medie di spazi anche ben superiori a 30 m2 per abitante) e che le criticità si distribuiscono soprattutto:

-       sotto il profilo spaziale

o   nei nuclei antichi e nelle periferie urbane più dense e/o più degradate,

o   nei paesi e borghi semi-abbandonati e dispersi delle cosiddette “aree interne”;

-       sotto il profilo tipologico – oltre ai deficit qualitativi, a partite dall’edilizia scolastica – nei servizi per l’infanzia (asili-nido), per gli anziani, per i disabili, per la salute di prossimità ed ancora, a monte, nelle carenze abitative per le famiglie povere (e molti salariati stanno diventando poveri), per gli immigrati, per le persone marginali oppure per categorie ‘temporanee’ come gli studenti fuori-sede (senza dimenticare le  barriere architettoniche che spesso impediscono l’accessibilità ai servizi esistenti).

Anche se manca un piano nazionale per il diritto alla casa, parte di questi bisogni sono stati individuati in provvedimenti specifici (come il PINQUA [3] oppure la Strategia Nazionale Aree Interne) e nella pianificazione locale, nonché in quel grande affresco dei desideri di riscatto costituito dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza 5,6.

 

Strumenti di sommaria programmazione che però dimostrano per lo più un notevole divario tra bisogni e risorse, motivo per cui queste vengono distribuite o viziosamente con criteri clientelari oppure virtuosamente tramite “bandi”, il che determina priorità di spese non dettate solo dalla gerarchia dei bisogni, ma anche dalla intraprendenza e abilità dei soggetti richiedenti.[4]

Una seria attenzione alle disuguaglianze territoriali dovrebbe invece comportare, oltre al reperimento di risorse notevolmente maggiori, una concentrazione di forze per colmare i divari dove risultano più acuti, con una vera programmazione territoriale, arrivando quando è il caso anche all’utilizzo di poteri commissariali sostitutivi per le amministrazioni locali inadempienti.

Oppure ancor meglio intervenire a monte e ripensare l’architettura delle autonomie locali, decentrando i poteri nelle metropoli e superando definitivamente la frammentazione dei piccoli Comuni (come ho già argomentato in altre occasioni 1).

 

Quanto sopra, salvo qualche differenza di accenti, è evidentemente ben noto nell’ambito dell’INU (da cui per altro traggo parte delle mie conoscenze [5]).

Per questo a maggior ragione trovo insoddisfacente l’ipotesi di un Decreto sulle quantità minime di spazi pubblici.

Standard significa “misura normale” ma anche “stendardo, bandiera”.

Se nell’ambito di una nuova legislazione per il territorio si intende sollevare uno stendardo, ed imporre delle garanzie minime di diritti per i cittadini a mio avviso bisogna andare oltre e cioè da un lato partire dal diritto ad una casa per tutti (e non solo generici impegni per un po’ di housing sociale) e dall’altro estendere il concetto di spazi minimi alla effettiva realizzazione dei servizi primari (e non solo alla previsione dei vincoli urbanistici a ciò finalizzati).

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.    Aldo Vecchi – RIFORMARE L’URBANISTICA? – su Utopia21, gennaio 2023 https://drive.google.com/file/d/1-hRvpegM2DZGt55SJpfIACeqUuX07z63/view?usp=share_link

2.    Carlo Alberto Barbieri e Paolo Galuzzi – FINALITA’ E PUNTI CARDINALI PER UNA LEGGE DI PRINCIPI FONDAMENTALI PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO E LA PIANIFICAZIONE – su Urbanistica Informazioni n° 311 – settembre-ottobre 2023, http://www.urbanisticainformazioni.it/_Barbieri_.html

nonché DIBATTITO PRESSO URBANPROMO 2023 https://www.youtube.com/watch?v=a_kUw8oNCH0

3.    Aldo Vecchi - L’UTOPIA (ITALIANA) DI UNA CASA, PER TUTTI – su Utopia21, luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1Uzz_gkXHQdEy91sUiA_j2hlfobRsbv0m/view?usp=sharing

4.    Aldo Vecchi - RILANCIARE LE POLITICHE PUBBLICHE PER L’ABITARE? – su Utopia21, novembre 2022 - https://drive.google.com/file/d/1rPQBG8MZLR2pbpmSzAr5e-nqnaXX436n/view?usp=share_link

5.    Aldo Vecchi e Fulvio Fagiani – P.N.R.R.: CONSIDERAZIONI GENERALI – su Utopia21, gennaio 2021 https://drive.google.com/file/d/1NdnwcSjgfWo6u0W_sXvx_O7Y4311M5Gj/view?usp=sharing

6.    Aldo Vecchi – P.N.R.R.: L’EDILIZIA E IL TERRITORIO su Utopia21, gennaio 2021 - https://drive.google.com/file/d/1rkd1VOGaaMCXdo2gfELzGzqnswIPKufD/view?usp=sharing

7.    Isaia Sales – PNRR, IL PARADOSSO DEL SUD – su La Repubblica del 7 dicembre 2023 - https://www.repubblica.it/commenti/2023/12/07/news/sud_pnrr_paradosso_risorse-421592109/



[1] Inoltre per le città determinava ulteriori 16,5 m2 per abitante per servizi superiori e parchi urbani, per le attività produttive un minimo di spazi pubblici pari al 10% delle superfici di tali zone e per le attività terziarie m2 80 ogni 100 m2 di fabbricato.

[2] Più precisamente “Lega Nord per Salvini Presidente”

[3] PINQUA: Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell'Abitare

[4] Come è rilevato, tra gli altri, da Isaia Sales su “La Repubblica” 7 e dall’ASviS, nell’ambito del Rapporto Territori 2023 (vedi mio articolo su questo numero di Utopia21), dove critica l’abbandono della metodologia place-based per l’allocazione dei fondi della Strategia Nazionale Aree Interne

[5] Non sto a citare specifiche fonti, tanto è vasta la pubblicistica INU sull’argomento, su cui addirittura su svolge a Roma da tempo la Biennale degli Spazi Pubblici, giunta nel 2023 all’ottava edizione.